(che andrebbe ascoltata prima di “Colloquio” dei Le Masque)
Non chiedo la grazia divina
del sogno, né la scintilla
del genio: una vita tranquilla
mi basta, una vita meschina.
Per questa manía solitaria
m’occorrerebbe un’onesta
casa, assai vecchia e modesta,
con molta luce e buon’aria,
con alberi verdi e da frutti
d’intorno, sepolta tra un folto
di pergole ombrose; ma molto,
ma molto lontana da tutti.
Un’assai vecchia dimora,
linda, ospitale ed ammodo,
un po’ rozza e semplice al modo
delle massaie d’allora;
e in questo rifugio all’antica,
vorrei, nell’oblío secolare,
illudermi di riposare
da un’immaginaria fatica.
Che sonni, che sonni tranquilli
da bimbo nella sua cuna,
le notti col lume di luna,
le notti col canto dei grilli!
Vorrei pure scrivere, senza
fatica, dei versi: ma sparsi
a spizzico, da giudicarsi
con una bonaria indulgenza:
dei versi bizzarri, rimati
secondo la mia prosodía,
con molta malinconía
e quasi niente grammatica:
e il lusso da milionario
vorrei per un mese, d’avere
a nolo per cameriere
un dottore universitario
per mettere in bella copia
le mie bislacche parole
e dirmi dove ci vuole
la lettera semplice o doppia.
O gioia di essere solo!
non l’ombra d’un conosciuto
vicino, toltone il muto
dottore che avrei preso a nolo.
Non ascolterei che la sola
Natura, l’unica amica;
non compirei piú la fatica
di dire una mezza parola.
Avrei con me qualche rado
libro, assai fuori di mano;
andrei per i campi pian piano
senza saper dove vado;
nella mia testa i pensieri
andrebbero com’io li lascio
andare, tutti a rifascio,
i piú pazzi con i piú seri:
e a sera, sull’imbrunire,
un letto fresco e profondo
mi smemorerebbe del mondo
con la voluttà di dormire.
Se un semplice regime uguale
bastasse a guarirmi dal tedio!
Ma in simile caso il rimedio
sarebbe peggiore del male.
Non guarirei, ne son certo,
da tutte queste torture
imaginarie, neppure
se andassi in mezzo al deserto;
il male, purtroppo, non sta
di fuori, ma nel mio interno,
ed è un prodotto moderno
come l’elettricità:
è come un tarlo che roda
addentro, senza mai posa,
ed era in addietro una posa
ormai passata di moda.
Oh come darei le parole
inutili e l’opere vane
dell’uomo, per essere un cane
che dorma placido al sole!
Per esser la foglia o l’insetto
o l’albero o il gufo o il leone,
per non aver la ragione,
per non aver l’intelletto.
(tratto da C. VALLINI, Un giorno, Torino, Streglio, 1907)
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